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Il COVID-19 colpisce i cani e i gatti?

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L’attuale pandemia verrà ricordata come quella delle grandi contraddizioni. E’ stato detto di tutto, sostenendo addirittura posizioni antitetiche tra loro. Ironia della sorte, anche da parte della stessa persona. In Cina agli inizi dello scorso anno era stato registrato il record di abbandoni di cani e gatti per la psicosi da contagio animale-uomo da COVID-19. Durante l’estate dello stesso anno, era apparsa la variante “danese” del COVID-19 (variazioni che in virus RNA sono la norma), quella che avrebbe reso vana ogni terapia e vaccinazione perché molto aggressiva. Con ciò diciassette milioni di visoni sono stati messi nelle fosse comuni.

Ma esiste una zoonosi? Il COVID-19 può essere trasmesso dall’animale domestico all’uomo?

E’ noto come il virus abbia una provenienza dal mondo animale. Nei primissimi momenti della pandemia si vociferava come il contagio invernale fosse conseguenza diretta della trasmissione pipistrello – uomo. Mancava però nella ricostruzione dei fatti di allora un dettaglio: i pipistrelli nel periodo invernale vanno in letargo. Quindi diventa piuttosto difficile pensare alla presenza di tali animali allo stato libero. Allora si pensò ad un impiego alimentare di tali animali. Ma anche quello era manchevole di alcuni dettagli. Allora fece la comparsa sulle scene mondiali lui: il pangolino. Ovvero il capostipite del virus rimane il pipistrello, poi compare, quale intermedio, il pangolino.

Fino ad oggi la maggioranza di noi non ne conosceva nemmeno l’esistenza di tale animale. Poi, la consultazione di testi e fonti illustrative, ce lo mostrò per quello che è, un parente alla lontana del formichiere.  Risulta difficile anche con un notevole sforzo di fantasia immaginare una distinta signora cinese con al guinzaglio il suo amato pangolino. Allora cosa se ne fanno i cinesi di questi animali? In che modo ne vengono a contatto? Sono fonti farmacologiche preziose nella loro farmacopea. Quasi insostituibili.

Ma venendo alla zoonosi, per dirimere la questione o provare a farlo, bisogna considerare l’affinità che possa esistere tra il virus e l’organismo. In questo il pangolino ha fatto la sua comparsa per la notevole similitudine emersa tra recettore virale e recettore dell’ospite. Minor affinità vi è con i cani, gatti. Maggior affinità la presentano i furetti, le scimmie, non come il pangolino.

I casi di positività tra i felini al COVID-19 sono, nonostante la psicosi cinese, abbastanza rari. E’ noto per essere diventato il caso mediatico quanto occorso in Belgio dove venne trovato un gatto positivo al tampone. In realtà in patria cinese i ricercatori si spinsero un po’ più in là nella valutazione della positività felina, testando 102 soggetti, trovandone il 14,7% positivi.

Anche i felini selvatici presenti in vari zoo, in tempistiche differenti, sono stati trovati positivi al tampone e non necessariamente sintomatici.

E’ un assunto scientifico che nella patogenesi, l’infezione nei cani, gatti e furetti per esempio, avvenga in prima istanza per via endonasale.

A tutt’oggi però, non vi è alcuna evidenza scientifica che dagli animali domestici, cani e gatti, possa essere trasmessa la virosi.

Rimane aperta la questione della strage di visoni. La prova di una trasmissione visone – uomo non vi è, anche se in concomitanza la variante danese è stata trovata anche in esseri umani, ma c’è il forte sospetto che possa avvenire. Nel sospetto i visoni hanno avuto la peggio.

Probabilmente in questa pandemia prevale la psicosi sulla valutazione scientific

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